L’ingiustizia fatta sistema.

6 gennaio 2023

L’ingiustizia fatta sistema.

di Dipartimento Lavoro PCI

GL

Che dire? Molti tacciono di fronte allo sgomento che una notizia del genere dovrebbe portare. Sgomento? Non basta, meglio indignazione.

Giuliano De Seta, 18 anni, morto durante uno dei cosiddetti “stage formativi” nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro, non viene riconosciuto come lavoratore e, siccome non è “padre di famiglia” INAIL gli nega ogni risarcimento.

Alternanza scuola-lavoro … una legge che serve a fornire manovalanza gratuita, una legge che insegna al fatto che il lavoro può non essere retribuito, che è qualcosa che viene concesso da qualche “superiore”, che lavoro e sfruttamento siano sinonimi …

La scuola, che dovrebbe formare cittadini coscienti, con leggi di questa fatta crea “sudditi”. E il lavoro non è quella fonte di crescita individuale e collettiva che serve a portare benessere a chi lavora. È una sconfitta anche culturale. Scuola e lavoro così diventano parte di un modello di sviluppo nel quale il solo obiettivo è portare profitto a chi “sta sopra”. Un modello nel quale ammalarsi, infortunarsi, morire perché si lavora è qualcosa di “normale”, al massimo un “danno collaterale” di quel conflitto capitale-lavoro che troppi si ostinano a non considerare.

Stiamo assistendo a una restaurazione reazionaria che vuole cancellare i diritti che i lavoratori hanno conquistato a partire dagli scioperi del ’43 e del ’44, con la Resistenza e con le lotte nel secondo dopoguerra.

E se non riusciamo neppure a protestare in maniera adeguata contro questa situazione, la ragione è che siamo perfettamente inseriti in quel “realismo capitalista” che annebbia le menti e distrugge anche culturalmente la nostra coscienza. Crediamo, ormai, che non si possa modifica nella dello stato di cose presente.

Ebbene, noi comunisti lo ripetiamo da tempo, cambiare non solo si può, diventa necessario, indispensabile. E bisogna farlo dalle radici, trasformando profondamente il sistema.

Partiamo dal ripudio di leggi fatte apposta per consentire lo sfruttamento e la speculazione da parte di chi “sta sopra”.

Noi continuiamo a lottare pretendendo che le risorse vengano destinate a migliorare la vita di chi vive, ha vissuto, vuole vivere del proprio lavoro.
Lo facciamo a testa alta.
È giusto provare sgomento? Indignazione? Meglio sarebbe avere rabbia, quella doverosa che si evolve nella lotta per un futuro migliore, per una società senza sfruttamento, nella quale lavorare non significhi una condanna a morte.

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