Agricoltura in Veneto – Un documento del PCI

Vi proponiamo un approfondimento in quattro parti dedicato all’agricoltura, un tema di capitale importanza troppo spesso trascurato sia dalle forze politiche di sistema che da quelle extraparlamentari. Come PCI, consideriamo fondamentale analizzarne le condizioni, e formulare proposte che puntino a una produzione agricola che garantisca buon cibo con basso impatto ambientale, e condizioni di lavoro dignitose e tutelate.

Ringraziamo il compagno Daniele Mazzasette del PCI Veneto per il prezioso contributo.

AGRICOLTURA IN VENETO – PARTE 1 – Giovani e occupazione

L’agricoltura veneta è molto progredita negli ultimi decenni, eppure una grossa parte della manodopera ha lasciato le campagne attirata all’industria e dai servizi.


La riduzione dell’occupazione in agricoltura è un processo pluridecennale legato all’evoluzione tecnologica e alla crescita di altri settori economici; questa tendenza causa il progressivo abbandono delle attività agricole e lo spopolamento delle aree rurali, soprattutto per le fasce di età più giovani.


L’Italia si colloca, nell’UE, tra i Paesi con minore incidenza di conduttori giovani in agricoltura: solo il 5% ha un’età inferiore a 35 anni.


In Veneto solo 5.000 conduttori su 73.500 hanno meno di 40 anni. L’incidenza percentuale (7%) è di poco inferiore a quella relativa alla superficie agricola gestita da giovani, il 12%, inferiore a quella nazionale.


Il comparto agroalimentare vale il 15% del Pil regionale, 3 miliardi di euro, ma la parte agricola ne copre appena il 2,2%. E nonostante da gennaio 2021 sono stati assunti oltre 21 mila addetti nel comparto dell’agricoltura, c’è un importante lato negativo: 15mila aziende venete sono a rischio irregolarità.

AGRICOLTURA IN VENETO – PARTE 2 – Competenze, precarietà e caporalato

Secondo le stime più recenti, in Veneto sono ben 10mila i lavoratori in possesso di un contratto a rischio (di vario grado) e 6mila i lavoratori potenziali vittime dei caporali (con contratto “in nero” e spesso pessime condizioni di lavoro).

Per contrastare questo problema, la strada del “riciclare” lavoratori disoccupati da altri settori non è facilmente percorribile. Nell’esperienza francese, i lavoratori locali reclutati tramite job market online hanno mostrato livelli di produttività molto inferiori rispetto alla manodopera straniera generalmente impiegata, evidenziando palesi lacune di accesso e qualità dell’istruzione.


Anche gli strumenti di occupazione regolare impiegati dal sistema capitalista italiano ed europeo non hanno funzionato; il programma di regolarizzazione dell’Italia, adottato a maggio 2020, si poneva l’obiettivo di “garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva” e “favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari”, ovvero portare alla luce le forme di lavoro sommerso e quello delle persone prive di documenti. In pratica però il provvedimento è nato da un interesse economico strategico, quello di assicurare che i settori essenziali avessero sufficiente manodopera, piuttosto che da una volontà di tutelare i diritti.

AGRICOLTURA IN VENETO – PARTE 3 – La malattia capitalista

Anche l’Europa non riesce a fare molto, anzi, fa molto per pochi. Come cita un appello dell’USB: «Le responsabilità vanno ricercate nel sistema di mercato in cui comandano le grandi aziende dell’agroindustria, la GDO, il sistema dei finanziamenti PAC che agevola le grandi aziende. Le grandi imprese approfittano delle condizioni dei lavoratori più deboli non rispettando i contratti, utilizzando caporalato e lavoro nero».

Le problematiche del lavoro in agricoltura, non nascono quindi sempre dalla maligna volontà di un agricoltore, ma da input ben precisi del mercato capitalista.

La riduzione della remunerazione del lavoro rappresenta in molti casi una “soluzione” ai problemi della bassa produttività e della debolezza strutturale del settore agricolo, rispetto alla trasformazione alimentare e alla distribuzione (dominati dalla presenza della Gdo e relative centrali d’acquisto), settori tendenzialmente oligopolistici. Con il suo potere contrattuale, la Gdo esercita forti pressioni sui prezzi dei prodotti, determinando un peggioramento delle condizioni di mercato, che spinge gli imprenditori agricoli a ridurre (lecitamente o meno) il costo del lavoro.

Inoltre, in molti contesti produttivi italiani, questi fenomeni sono drammaticamente amplificati dalla contaminazione con attività criminali gestite da organizzazioni malavitose e facilitati dalla stagionalità della domanda di lavoro e dalla grande disponibilità di manodopera (spesso irregolare).



AGRICOLTURA IN VENETO – Parte 4 – Il cambiamento è necessario

Tutti i fattori produttivi – macchinari, attrezzature e gli altri beni e servizi per l’agricoltura, sementi e specie animali e vegetali – subiscono un controllo dei prezzi da parte delle grandi industrie fornitrici, che si traduce in una riduzione dei compensi e, più in generale, in un complessivo peggioramento delle condizioni lavorative nel settore agricolo. Per stare al passo con i regolamenti, favorevoli alle industrie costruttrici, i costi per gli agricoltori sono aumentati del 40% in sei anni.

Alla luce di questi dati e di quelli precedenti, bisogna avviare una stagione di analisi e lotta comunista, contro i monopoli del mercato e il capitalismo, perché è il capitalismo il problema, non l’agricoltore, figura centrale per l’intera società con un ruolo evidentemente essenziale.

Come PCI non possiamo che pretendere un’inversione totale, lottare affinché i finanziamenti pubblici raggiungano aziende che assicurano contratti legali ed ottime condizioni di lavoro, anche agli stagionali, combattendo al contempo il caporalato e il lavoro nero potenziando l’ispettorato del lavoro e i centri per l’impiego. Il tutto sullo sfondo di una generale ridefinizione del sistema di produzione agricolo, che si basi sul benessere della collettività e degli agricoltori, garantendo un risanamento ambientale, occupazionale e sociale delle aree rurali.

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