23 marzo 2024 Bologna le conclusioni di Mauro Alboresi segretario Nazionale PCI

Conferenza Nazionale PIÙ SALARIO E ZERO PRECARIETÀ 23 marzo 2024 Bologna

le conclusioni di Mauro Alboresi

segretario Nazionale PCI

 

IMG-20240323-WA0086Non si può che essere soddisfatti per la riuscita di questa iniziativa.

Desidero ringraziare, con il Dipartimento Lavoro, coloro che con il loro impegno e la loro presenza l’hanno resa possibile, e chi intervenendo ha contributo a qualificare la discussione.

L’odierna iniziativa, come quelle che l’hanno preceduta, sottolinea la centralità della questione lavoro per il Partito Comunista Italiano.

Siamo di fronte ad una questione che, a fronte dei processi determinatisi, si è imposta con forza all’attenzione generale.

Che cos’è il lavoro sul piano quantitativo e qualitativo è stato ampiamente sottolineato dalla relazione introduttiva, dalle comunicazioni e dagli interventi succedutisi.

Siamo di fronte ad un processo che evidenzia il precipitare della condizione lavorativa, e  ciò non è casuale.

Esso, come a più riprese abbiamo avuto modo di sottolineare, è il prodotto delle politiche

che all’insegna del liberismo, del dogma dell’austerità, hanno investito l’occidente capitalista, l’Unione Europea, e con essa l’Italia.

Siamo di fronte a politiche promosse, assunte dai diversi governi di centrodestra e di centrosinistra, nonché “tecnici”, che si sono succeduti alla guida del nostro Paese e che hanno affermato la centralità del mercato, dell’impresa.

A quest’ultima sono state e continuano ad essere indirizzate, sotto varie forme, generalmente a pioggia, ingenti risorse, ad essa  è stata e continua ad essere sacrificata la condizione del lavoro, il sistema dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.

Il dramma delle morti e degli infortuni sul lavoro che quotidianamente si ripropone, la precarietà di tanti rapporti di lavoro, che priva soprattutto i giovani di un futuro all’altezza delle loro aspettative, l’affermarsi di condizioni lavorative che rimandano indietro nel tempo, nonché il prepotente imporsi della questione salariale, sono di ciò esempi lampanti.

Tramontata l’esperienza del governo Draghi siamo  giunti al governo Meloni,  stretto tra conservatorismo e reazione, che sin dal primo giorno ha fatto professione di fede atlantista ed europeista, assecondandone la politica bellicista (ed oggi il rischio di un conflitto su larga scala è sempre più concreto).

Come evidente siamo di fronte ad un governo che sul piano finanziario ed economico, come testimoniato dalle leggi di bilancio approvate, nonché dalle linee di politica economica e finanziaria prospettate, ha assunto appieno “l’agenda Draghi”, che conferma un approccio regressivo sul terreno dei diritti sociali e civili, che prospetta un riassetto istituzionale che tra autonomia differenziata e premierato mina alle fondamenta l’unità statuale.

Ciò in un quadro generale che, al di là della propaganda diffusa a piene mani, sostenuta da un sistema massmediatico sempre più asservito, evidenzia l’Unione Europea, e con essa l’Italia, oscillare tra stagnazione e recessione, al più evidenziare tassi di crescita insignificanti, chiamate a fare i conti con una inflazione (da ricondurre innanzitutto ai fenomeni speculativi) che ha determinato e determina pesanti ricadute sulle condizioni di vita dei più e che non ha trovato ad oggi le necessarie e possibili risposte.

Un’Unione Europea e soprattutto un’Italia chiamate a misurasi con la conseguente drammatica crisi sociale in atto.

Guardando al nostro Paese non possiamo aspettarci risposte all’altezza dei problemi presenti.

Come sottolineato in più occasioni, infatti, siamo di fronte ad un governo, ad un blocco sociale, che fa leva sulla libertà concessa all’impresa, sull’incitamento all’evasione fiscale, sulla difesa delle posizioni corporative, di rendita, accompagnate dalla lotta ai poveri ed ai migranti.

Il  programma del governo non offre un futuro al Paese, ne accentua gli squilibri.

Siamo di fronte ad un governo che distorce il senso e la portata di questo o quello strumento, che parlando di lavoro contrappone il salario minimo alla contrattazione collettiva, riduce la risposta da dare  alla drammatica questione salariale presente nel Paese ad un intervento temporaneo sul cuneo fiscale, alla non tassazione dei benefit aziendali, del lavoro straordinario, etc.

Come evidente siamo chiamati a misurarci con  una situazione oltremodo complessa, problematica, aperta a molteplici sbocchi, e per quanto riguarda noi, il PCI, e con noi la sinistra di classe, politica e sindacale, siamo  di fronte a rapporti di forza sfavorevoli.

Si, come più d’uno ha sottolineato intervenendo siamo di  fronte a rilevanti segnali di passività, di  rassegnazione alle condizioni in essere da parte delle lavoratrici e dei lavoratori (la stessa crisi della rappresentanza sindacale dice molto al riguardo) ad un mondo del lavoro che per tanta parte ha perso la coscienza di sé, la coscienza di classe, il suo essere soggetto della  trasformazione.

Registriamo tuttavia lotte significative, ancorché di carattere largamente difensivo, che devono e possono trovare uno sbocco.

Serve promuovere la massima unità possibile, un processo che superando la frammentazione  politica e sindacale in atto, si proponga di costruire un fronte volto a modificare i rapporti di forza in essere,  un’opposizione di classe, di massa, nei confronti delle politiche date, prospettate.

Come PCI confermiamo la scelta di operare per portare a sintesi le diverse posizioni, nell’interesse generale delle lavoratrici e dei lavoratori, sviluppando il confronto, il dialogo con tutte le organizzazioni sindacali e politiche a ciò interessate.

Ancora una volta confermiamo che non abbiamo un sindacato di riferimento, che sosteniamo il sindacalismo di classe, conflittuale, che si misura innanzitutto con le cause dei processi, non solo con gli effetti degli stessi per lenirli.

Operiamo nei  diversi contesti affinché si affermi un nuovo protagonismo del mondo del lavoro, del sindacato, affinché le ragioni delle lavoratrici e dei lavoratori  trovino uno sbocco, una rappresentanza  politica.

Per tutte queste ragioni è necessario mettere in campo una piattaforma adeguatamente articolata, che sul piano generale, per quanto ci riguarda,  non può che svilupparsi sulla base della parola d’ordine + Stato – Mercato (per ragioni di tempo rinvio ai contenuti di quella che come partito abbiamo da tempo elaborato) esattamente l’opposto di quanto affermatosi negli anni, di quanto si continua a proporre.

Qui, oggi, pongo l’attenzione sulle scelte, sulle proposte che attengono al lavoro.

Molto al riguardo, a partire dalla relazione, è stato detto.

Abbiamo bisogno  di riaffermare una cultura del lavoro che si riappropri della nozione di diritto, che rompa con la sua subordinazione all’imperante mera logica del profitto.

Qui si colloca, ad esempio, la questione di una risposta forte al dramma delle morti e degli infortuni sul lavoro.

Serve una riforma del sistema degli appalti opposta a quella recentemente affermatasi (quella dei sub- appalti  a “cascata”) che porti ad una riorganizzazione del sistema delle imprese, ad un sempre più qualificato sistema di prevenzione, di controllo e repressione degli illeciti, anche attraverso l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di omicidio sul lavoro (importante la raccolta di firme a ciò rivolta alla quale, con altri, siamo impegnati).

Qui si colloca la questione di una risposta forte alla dilagante precarietà ( che, come diversi interventi hanno sottolineato, dal lavoro è divenuta precarietà del vivere quotidiano).

Abbiamo bisogno di andare in direzione della riscrittura del diritto del lavoro, comprensivo delle nuove forme attraverso le quali lo stesso si manifesta e spesso si maschera (emblematica la questione delle false partite IVA) assumendo l’obbiettivo della tutela di tutto ciò che si evidenzia economicamente subordinato.

Ciò significa, ad esempio, ridurre drasticamente il numero delle possibili tipologie di rapporto di lavoro, riportare al centro quella a tempo indeterminato, ripristinare la causale nei rapporti a tempo determinato, rendere più oneroso il ricorso a poche e definite forme di flessibilità. 

Serve rispondere per davvero alla grande questione salariale da tempo  presente nel Paese, che riguarda  il settore pubblico e quello privato ( sempre più facce della stessa medaglia) che rinvia al cosiddetto fenomeno del lavoro povero, inteso come la crescita esponenziale di aree del lavoro dove la retribuzione non è sufficiente e genera drammatici fenomeni di povertà, etc.

I dati dei quali si dispone evidenziano che in questi ultimi trent’anni il rapporto tra la dinamica delle retribuzioni italiane e quelle degli altri paesi europei collocano il nostro agli ultimi posti.

Anche questo non è casuale, ma trova una spiegazione nella politica  dei redditi affermatasi nel tempo nel nostro Paese, nel modello concertativo assunto da governo e parti sociali.

Occorre  rilanciare innanzitutto il ruolo e la funzione dei CCNL.

Qui si colloca la questione del salario minimo da fissare per legge (che nonostante le tante esperienze europee il governo Meloni rifiuta di introdurre) che non va posto in alternativa alla contrattazione collettiva, ma come riferimento base della stessa al fine di  articolare le retribuzioni.

Qui si pone la stessa questione della scala mobile sottolineata dalla relazione introduttiva, un meccanismo che la storia dimostra non essere alla base dell’inflazione, contrariamente a quello che a suo tempo si è fatto credere per affermarne il superamento, bensì necessario per tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni dalla stessa eroso. 

Qui si colloca anche la necessità di garantire parità di retribuzione e di opportunità tra uomini e donne.

La rilevante crescita che deve investire i salari non può essere garantita unicamente attraverso la riduzione del cuneo fiscale, essa deve determinarsi anche e soprattutto attraverso un diverso rapporto con il profitto generato, una sua diversa ripartizione.

Abbiamo bisogno di garantire la massima occupazione possibile e nel contempo un minore tempo di lavoro per una vita che si apra a tanto altro.

Serve mettere in campo una generalizzata riduzione del tempo di lavoro, una scelta che guarda  all’oggi ma soprattutto al domani (il riferimento è ai processi riorganizzativi del sistema produttivo che sono in atto, la crisi serve anche a questo, ad un uso sempre più marcato delle nuove tecnologie).

Il nostro orizzonte, in sintesi, non può che essere quello del rimettere al centro il lavoro, la sua tutela e valorizzazione.

Ciò è parte di una visione altra della società, che pone al centro l’interesse collettivo contrapponendolo a quello di parte, che guarda alla produzione di beni e servizi per soddisfare i bisogni di tutti, non in funzione del profitto di pochi.

E’ una sfida assai impegnativa quella che abbiamo raccolto, una sfida che chiama in causa tutto il partito, le sue diverse articolazioni.

Propugniamo un’alternativa, necessaria e possibile assieme.

La conferenza odierna, come le altre che l’hanno preceduta, è la manifestazione della volontà del partito di esserci, oggi e domani.

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